Dopo sette mesi di trattative tra il Governo e i sindacati per rinnovare il contratto collettivo nazionale dei dipendenti della sanità pubblica, salta l’accordo, non si firma. Alcuni sindacati, infatti, si rifiutano di firmare una bozza di contratto che andrebbe a peggiorare le condizioni di lavoro degli operatori sanitari e di tutto il personale. A dire no sono Cgil, Uil e Nursing up, lasciando la Cisl e il resto dei sindacati in un angolo, per l’impossibilità di raggiungere la maggioranza necessaria, del 51%, per poter rinnovare il contratto. Ma cosa non andava effettivamente in questa proposta di contratto? Lo abbiamo chiesto a Gabriele, coordinatore degli infermieri dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma.
“Semplicemente – ci dice – era un contratto che non rispondeva alle esigenze degli operatori sanitari, né in termini economici né in termini di miglioramento delle condizioni di lavoro”. In effetti di storture ce ne sono molte. A partire dalla questione salariale. Gli aumenti previsti, infatti, non tenevano minimamente conto del vertiginoso aumento del costo della vita a cui ognuno di noi ha assistito negli ultimi tempi. Quello che quindi sarebbe apparso come un aumento di stipendio era in realtà il suo esatto opposto.
Altra significativa stortura era quella dell’orario di lavoro. Il messaggio che il Governo, con quel contratto, voleva far passare è: se vuoi guadagnare di più devi lavorare di più. Se, quindi, normalmente, i rinnovi contrattuali rappresentano una crescita degli stipendi e un miglioramento generale dei propri diritti, in questo caso infermieri, operatori sociosanitari e tutto il personale sanitario avrebbero dovuto obbligatoriamente lavorare oltre le 36 ore che gli spettano per ottenere qualcosa in più. Ma come si fa a chiedere ad un operatore sanitario che già vive condizioni di lavoro massacranti di arrivare a più di 40 ore di lavoro, magari notturne, per arrivare a fine mese? “Lo dico francamente – commenta Gabriele -, i lavoratori non vogliono più fare straordinari, sono esausti. Vogliono essere pagati il giusto per fare il giusto numero di ore di lavoro. Io li vedo in faccia quando staccano da un turno di notte… – spiega, arrabbiato, Gabriele -. E spesso se ne fanno anche due o tre di fila. Io, certe volte, non mi sento al sicuro nel mandarli a casa.
Ma Gabriele ci racconta un aspetto ancora più controverso. Per guadagnare di più bisogna fare gli straordinari, ma non ci sono i soldi per pagarli. Come si fa, dunque? Si va a recupero, ci spiega. In buona sostanza, i lavoratori si ritroveranno costretti a recuperare quelle ore in un secondo momento, senza prendere un soldo. Ma si presenta un ulteriore problema in quella che sembra essere una spirale senza via d’uscita: chi coprirà le assenze del personale che si troverà a casa per recuperare le ore? Un altro lavoratore che, a sua volta, non vuole fare gli straordinari perché non glieli pagano? Un circolo vizioso pericoloso dove a rimetterci saranno soprattutto i lavoratori.
Insomma, un contratto che puntava tutto sull’aumento dell’orario di lavoro, mantenendo stipendi non adeguati al costo della vita. Infermieri, operatori sociosanitari e sanitari, tecnici, amministrativi e tutto il personale che lavora nella sanità chiedono unicamente di essere pagati per ciò che fanno. Non vogliono lavorare di più per guadagnare di più, vogliono essere pagati il giusto per il lavoro che svolgono. E, possibilmente, avere anche del tempo per la propria vita privata.
di Martina Bortolotti