L’ultima allerta rossa nella regione dell’Emilia-Romagna ha colpito dove meno ci si aspettava. Il territorio attenzionato era infatti quello della Romagna, ma le perturbazioni più violente si sono invece riversate nei territori emiliani, interessando la città di Bologna e le zone circostanti. Come spesso succede in questi casi, il cataclisma è arriva impetuoso, improvviso, presentando il conto da pagare. Un conto alto, altissimo, che non è solo economico; i soldi per mettere mano ai danni causati, ricostruire e ripartire, con un po’ di pazienza e molto sacrificio, si trovano. Il trauma che subiscono le persone, invece, è qualcosa di indelebile e voltare pagina non è così semplice.
Allora come si ricomincia? Ci siamo chiesti cosa succede dopo eventi simili e come cambiano anche i servizi pubblici ordinari. Giulia, impiegata tecnica presso una società multiservizi romagnola che si occupa di ambiente e smaltimento rifiuti ci ha aiutato a raccontarlo. “Gli eventi climatici estremi che stanno colpendo la nostra regione ci hanno costretto ad affrontare situazioni eccezionali che esulano dalla nostra attività quotidiana” ha affermato. Di punto in bianco tutto viene stravolto e anche gli operatori ecologici diventano punti di riferimento per la popolazione. Ci si ritrova ad essere coordinatori di operazioni delicate alle quali nessuno era mai stato preparato. “Si fa tutto il possibile. Nell’alluvione del 2023, forse la più drammatica, ci siamo ritrovati a lavorare anche 12 ore al giorno. Dovevamo gestire interventi e spostamenti di mezzi per liberare le zone da fango e rifiuti. L’unico obiettivo era quello di aiutare le persone, riportarle velocemente alla loro vita”.
Giulia ci parla dei lavori come un percorso verso la rinascita, un percorso che ha dello straordinario sotto tutti i punti di vista. Vigili del fuoco, forze dell’ordine, operai di società esterne e tanti cittadini che tutti insieme collaborano allo stesso scopo: mettersi tutto alle spalle. La specialità di questi eventi catastrofici è la solidarietà che riescono a creare tra le persone: “Tanti volontari accorrono dalle città vicine, ma anche da tutta Italia. Restano per giorni lontani dalle loro vite e dalle loro famiglie per aiutarci a ritrovare un po’ di serenità. in tutte queste tragedie ho visto una risposta incredibile, anche da parte dei giovani. Ho visto scene che mi hanno toccato profondamente”.
Le difficoltà degli interventi e del lavoro senza sosta sono davvero tante, specie se ci si trova ad operare in territori alluvionati dove si fatica anche a riconoscere le strade. La prima cosa, allora, è spazzare via “il grosso”, rendere percorribili le strade, permettere la ripresa delle attività. Poi mano a mano si arriva a rendere agibili le case delle persone. Ma in questi casi la cosa più difficile, come ci conferma Giulia, è mantenere la sicurezza, sia di chi lavora sia delle persone delle zone alluvionate. “Siamo molto formati sulla sicurezza sul lavoro, ma in questi casi il rischio è che saltino gli schemi. In situazioni simili non è facile spiegare alle persone che non possono rientrare nelle case a recuperare oggetti e che non possono compiere determinate azioni. Ma il nostro obiettivo è che tutto proceda senza intoppi, che nessuno si faccia del male”. La raccolta dei rifiuti in certi casi passa in secondo o in terzo piano. Il servizio porta a porta, che da queste parte è prassi, viene sostituito dalla necessità di interventi ben più impegnativi. La precedenza viene data alla comunità delle persone colpite e alla loro salute: di ogni operazione da svolgere viene effettuata una valutazione dei rischi connessi e l’urgenza con la quale deve essere svolta. Dopo tanto lavoro e sacrificio, poi arrivano i risultati: “Vedere ogni giorno una piccola porzione di città che lentamente riprende vita dopo essersi liberata dal fango e dai cumuli di detriti; questa è rinascita”.
Dopo l’ultima alluvione che nei giorni scorsi ha colpito Bologna e anche molti paesi limitrofi, l’Emilia-Romagna è una regione sempre più fragile. “Ora anche una semplice pioggia ci spaventa. La bellezza dei fiumi che attraversano le nostre città e i nostri paesi si è trasformata in paura che da questi si possano originare altre alluvioni” – ammette Giulia a malincuore – “Una casa sulla riva di un fiume, una pista ciclabile a sfioro vicino al corso di un fiume: prima dell’anno scorso erano paesaggi che davano serenità. Adesso sono cose che ci fanno stare poco tranquilli”.
L’appello è quello di attuare un cambiamento radicale nell’approccio alle politiche ambientali e sociali. Bisogna ripensare il rapporto tra comunità e territorio, ci vuole una visione complessiva. Dobbiamo considerare che i cambiamenti climatici saranno sempre più spesso la causa di forti eventi naturali come quelli che stanno colpendo negli ultimi anni il nostro Paese.
Infine, Giulia si lascia andare ad una riflessione personale: “Dopo quello che è successo spero che le persone abbiano preso consapevolezza di quello che è rifiuto, di quello che accumuliamo ogni giorno e che noi consideriamo come benessere. Quando tutto se ne va in un attimo, poi cosa rimane? Abbiamo tutto, abbiamo troppo. Spero ci possa essere un approccio diverso al consumo e alla vita in generale”.
di Matteo Mercuri