salute e sicurezza

30 anni di salute e sicurezza sul lavoro. Oppure no?

Il 19 settembre 1994 nasce la legge 626, la prima importante norma per tentare di contrastare i casi di infortunio sul lavoro. Come è andata?

Era il 19 settembre del 1994, esattamente 30 anni fa, quando fu emanata la legge 626, il primo Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Fino a quel momento alcune norme sparse avevano tentato di regolamentare la questione della sicurezza dei lavoratori per limitare al massimo l’avvenimento di incidenti e infortuni – talvolta letali – sul lavoro. La nuova legge le mise insieme. Finalmente una sensibilità politica più acuta poneva attenzione ad un tema che negli anni ’90 era particolarmente drammatico. Basti pensare che solo nell’anno precedente si erano registrati nel nostro Paese quasi un milione di infortuni sul lavoro.

E cosa è successo da allora? La legge è stata modificata, sostituita, migliorata, ma questo non ha impedito al fenomeno degli incidenti sul lavoro di continuare a verificarsi, e con una frequenza ancora preoccupante. Nel 2022, infatti, INAIL ha registrato circa 720 mila casi di infortunio sul lavoro, di cui circa 1.200 con esito mortale. Altrettanto significativo il fenomeno delle malattie professionali, legate perlopiù a esposizioni prolungate a fattori di rischio come sostanze chimiche o polveri, oppure rumori o vibrazioni. Nel 2022 sono state raccolte circa 60 mila denunce.

Incidenti sul lavoro: perché persistono.

Quali siano le ragioni della persistenza di questo fenomeno lo abbiamo chiesto a Marco Vitelli, tecnico della prevenzione per una ASL e responsabile del tema per la Funzione Pubblica CGIL. “Ultimamente assistiamo a delle cose abbastanza inquietanti. Per esempio, da qualche anno è stato introdotto il provvedimento di semplificazione dei controlli”. Si tratta di una procedura per cui i controlli programmati vanno comunicati alle aziende entro 10 giorni prima della visita. Una misura che evidentemente va a snaturare – e depotenziare – la ragione stessa del controllo, quella di verificare il rispetto costante delle regole e delle norme di sicurezza.

C’è poi il problema cronico della mancanza di personale. I servizi ispettivi sono appesantiti e l’addetto ai controlli è spesso lo stesso che si occupa di redigere le statistiche, di parlare con la procura, e così via. “Ci si occupa di tutto e quindi si depotenzia l’attività di controllo”. C’è poi, ci tiene a spiegare Vitelli, la questione del documento di valutazione dei rischi (DVR). “Il DVR dovrebbe essere la carta d’identità dell’azienda. Dovrebbe rivelarci il suo stato di salute e mostrare i punti nevralgici. Oggi invece viene visto come un puro adempimento burocratico”.

“Incidenti zero”: come arrivarci?

Quali soluzioni possono ancora essere messe in campo per arrivare ad “incidenti zero” laddove numerose norme hanno già fallito? “Partiamo dal presupposto che il rischio è una probabilità e la probabilità zero non esiste – spiega Vitelli. – Cercare di tendere a zero infortuni è diverso da dire “zero infortuni”, una esternazione populista e poco credibile. Dobbiamo recuperare concretezza, guardare alla realtà. Dobbiamo capire dove vogliamo veramente andare”. Tanti i suggerimenti: intervenire sulla coscienza sociale, sensibilizzando sull’importanza della formazione; potenziare la figura dell’RLS (il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza), procedere con nuove assunzioni per rafforzare il servizio di prevenzione prima e di controllo e sanzionamento poi. Altrettanto importante, secondo Vitelli, coinvolgere il sindacato. “Si tratta di un ulteriore soggetto di supporto da mettere in rete. Magari avessimo aziende virtuose che fanno sedere al tavolo, periodicamente, i responsabili della prevenzione, il datore di lavoro, gli RLS e i sindacati”. Tutte misure di buon senso e di fattiva possibilità di realizzazione.

La formula magica

Anche se il problema, suggerisce, è alla radice. “Lo so, è un’utopia, è come mirare alla luna. Ma, prima di qualsiasi altra cosa, bisognerebbe ridurre i ritmi di produzione che caratterizzano oggi tutto il mondo del lavoro. Dover correre su un ponteggio, salire una scala frettolosamente, utilizzare un macchinario in maniera rapida e distratta, perché il datore di lavoro ci ha detto che dobbiamo terminare il lavoro entro un’ora è certamente la causa numero uno dei casi di infortunio, o peggio di morte”.

Le novità in campo

Di recente, comunque, è stata introdotta dal Governo una nuova norma per l’edilizia la cui applicazione, dopo qualche polemica, è stata rinviata a gennaio 2025. Si tratta della “patente a punti” per i datori di lavoro, proprio come per chi guida. Una patente con un punteggio iniziale di 30 crediti che, se ridotto a meno di 15 crediti, impedisce al soggetto di lavorare e fa scattare una sanzione amministrativa pari al 10% del valore dei lavori presi in carico al momento, e comunque non inferiore a 6 mila euro. L’ennesima misura, però, ci ricorda Vitelli, che mira alla repressione e non interviene per prevenire questi eventi tragici. Inoltre, l’applicazione delle sanzioni risulterebbe particolarmente macchinosa. “Perché si arrivi alla sanzione bisogna essere in presenza di elementi molto gravi, e per questo già esistono sanzioni pesanti”. Insomma, sembrerebbe l’ennesimo buco nell’acqua. E mentre ci si barcamena tra una misura e l’altra, tentando di non disturbare troppo le aziende e la produttività, migliaia di lavoratori, ogni anno, continuano a morire di lavoro.

 

di Martina Bortolotti