Iniziano oggi negli Emirati Arabi, a Dubai, i lavori della 28esima edizione della Conference Of The Parties (COP): il vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che avrà luogo fino al 12 dicembre. L’opinione pubblica e la narrazione mediatica che hanno preceduto l’incontro sono state quanto mai critiche e scettiche su quello che potrà essere l’accordo conclusivo.
Il flop della COP27
Questa negatività, in parte, si può senz’altro imputare al fallimento della Conferenza sul clima del 2022 che si tenne in Egitto. La COP27 si aprì con la rinuncia alla partecipazione – per la prima volta dopo quattro anni – dell’attivista svedese Greta Thumberg, fondatrice di Fridays For Future. Definì la conferenza “solo ambientalismo di facciata” e aggiunse: “La maggioranza dei governi partecipanti non desidera realmente cambiare le cose”.
Quello che si determinò al termine dei lavori, effettivamente, venne considerato insoddisfacente. Si raggiunse un accordo per l’istituzione del “Loss and Damage Fund“, il fondo per fornire assistenza finanziaria alle nazioni più povere e più vulnerabili coinvolte dagli effetti dei cambiamenti climatici. Una nota positiva, se non fosse che rimase un provvedimento isolato che affrontò solo i sintomi della crisi, non la sua causa.
Anche la volontà condivisa di mantenere il riscaldamento globale sotto gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, non si tradusse in misure concrete. Non venne stilato, infatti, nessun piano concreto per lo sviluppo delle energie rinnovabili e non c’è traccia di un calendario che preveda la graduale eliminazione di petrolio e gas a livello globale.
“Disco Rotto”
Il recente rapporto delle Nazioni Unite sul clima, intitolato “Broken Record” (disco rotto), indica chiaramente che le attuali politiche e gli impegni presi dai Paesi coinvolti sono nettamente insufficienti a mantenere l’aumento delle temperature entro i limiti critici. Sostanzialmente, le informazioni contenute nel rapporto sono quelle che la comunità scientifica sventola ripetutamente da anni, invocando la necessità di una svolta radicale.
Nel 2022 le emissioni globali sono aumentate di un volume di 57,4 miliardi di tonnellate di Co2, tornando così ai livelli pre-Covid. Le emissioni da combustibili fossili e da processi industriali sono responsabili per i 2/3 delle emissioni totali. Quindi nulla è cambiato. Gli attuali obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni (NDC) porteranno al massimo a una riduzione delle emissioni del 9% entro il 2030, contro il 42% necessario per rimanere entro la soglia di 1,5°C.
In una recente intervista a Spazio Pubblico il climatologo Luca Mercalli ha ammesso: ”Se l’ambiente non sarà al centro della politica nel mondo l’umanità subirà i colpi di fenomeni estremi mai visti prima che cominceranno a picchiare duro, soprattutto sulle generazioni più giovani.”
Proseguire con le politiche attuali ci farebbe arrivare al 2030 con un riscaldamento globale medio di 3°C. Un tale livello potrebbe avere conseguenze catastrofiche, come lo scioglimento incontrollato delle calotte glaciali e la scomparsa della foresta amazzonica. Se fossero rispettati anche gli impegni incondizionati, cioè quelli che dipendono da altri fattori come i finanziamenti esterni, il riscaldamento potrebbe essere limitato a 2,5 gradi. Come conclude il rapporto, anche nello scenario più ottimistico preso in considerazione, la possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C è del 14%.
Le aspettative per la COP28
Il preludio della COP28 non fa ben sperare. Il vertice di Dubai arriva dopo un’estate di eventi meteorologici estremi a tutte le latitudini e nel bel mezzo delle guerre in Europa e Medio Oriente che potrebbero affievolire ulteriormente i processi di transizione ecologica avviati negli ultimi anni e tenere ancora viva la fiamma dei combustibili fossili.
Né il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, né il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jimping si presenteranno al vertice. I Paesi dell’Unione Europea arrivano, invece, senza essere riusciti a concordare una posizione comune. Per finire, il vertice si terrà negli Emirati Arabi, il sesto maggior emettitore pro-capite di Co2 al mondo. Ma bisogna andare avanti.
Quest’anno sono state accreditate più di 97mila persone (delegazioni, mezzi d’informazione, ong, lobby, organizzatori, tecnici, ecc.), il doppio rispetto all’anno scorso. “Questa è la COP più importante dopo quella di Parigi”, ha dichiarato il 29 novembre Simon Stiell, responsabile della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. “Stiamo procedendo a piccoli passi, ma ora servono passi da gigante”.
Gli organizzatori degli Emirati Arabi Uniti puntano a ottenere un gran numero di impegni volontari da parte dei governi, come per esempio quello di triplicare l’energia da fonti rinnovabili entro il 2030. C’è scetticismo, è vero, ma le aspettative sono altissime. Il mondo avrà gli occhi puntati sul vertice di Dubai con la pretesa di soluzioni credibili e azioni tempestive. Come osserva l’Onu, il disco è rotto: abbiamo sei anni per far sì che il danno non diventi irreversibile. Il futuro è già adesso, il futuro è la COP28.
di Matteo Mercuri