Più personale addetto ai controlli, formazione nelle scuole sin dalle elementari e cultura della prevenzione sono le soluzioni proposte al convegno promosso dalla Funzione Pubblica CGIL
Aumentano gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. E intanto le aziende vengono controllate una volta ogni 14 anni. D’altronde mancano all’appello 30.000 lavoratori addetti ai controlli. Sono questi i dati discussi nel convegno “Lavorare in salute e sicurezza… si può”, tenutosi a Roma lo scorso 20 settembre, organizzato dalla Funzione Pubblica CGIL e che ha visto la partecipazione e il contributo di diversi attori del sistema salute e sicurezza nel nostro Paese: Andrea Tardiola, Direttore INAIL; Francesco Vaia, Direttore Prevenzione del Ministero della Salute; Nicoletta Cornaggia, Conferenza delle Regioni; Paolo Pennesi, Direttore INL (Ispettorato Nazionale Lavoro), oltre che la segretaria generale della Funzione Pubblica CGIL, Serena Sorrentino, e Francesca Re David, segretaria nazionale CGIL.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali: qual è il trend?
Nel 2022 le denunce di infortunio sono state 697.773 (+25,7% rispetto al 2021). Di queste, 1.090 hanno avuto esito mortale. I settori in cui si registra la più allarmante crescita del fenomeno sono quello della sanità e dell’assistenza sociale (+113,1%) e quello delle amministrazioni pubbliche (+54,8%). Per quanto riguarda, invece, le denunce di malattia professionale, nel 2022 si sono registrati 60.774 casi (+9,9% rispetto al 2021 e +35% rispetto al 2020). Dati, secondo Andrea Tardiola, direttore INAIL, viziati dalla pandemia. La positività al Covid, chiarisce, è stata infatti classificata come infortunio sul lavoro. “Per parlare di sicurezza dobbiamo fare lo sforzo di guardare i numeri con una certa freddezza, anche se non è facile farlo, perché dobbiamo capire quali siano le cause di questo trend”. Secondo Tardiola guardare ai dati pre-pandemia (il 2019) garantirebbe di scattare una fotografia del Paese più verosimile. “Se paragoniamo il 2019 con il 2022 osserviamo un trend in diminuzione, non in aumento”, spiega. “Questo non è per dire che ce l’abbiamo fatta. I 500 mila infortuni e i mille morti sul lavoro del 2023 risultano comunque un dato indigeribile. Però serve a capire in che direzione stiamo andando. Intervenire in quella parte del mondo del lavoro dove vi è minor capacità di garantire standard di sicurezza è difficilissimo, ed è lì che dobbiamo orientare i nostri sforzi, innovando alcuni strumenti e potenziandone altri. Ad esempio, aumentando le risorse che rendono disponibili anche per le imprese più fragili dotazioni tecnologiche più moderne ed avanzate”.
Il sistema dei controlli
Secondi i dati Inps, in Italia ci sono 1 milione e 700 mila aziende, a fronte di circa 3.000 unità di personale addetto alla sicurezza dei posti di lavoro, (tra INL e ASL). Questo significa che ogni dipendente dovrebbe prendere in carico, ottimisticamente, circa 566 aziende. Se poi consideriamo che ognuna di queste aziende possa avere più sedi (stabilimenti, cantieri, ecc) il rapporto dipendente/sedi tende a peggiorare. Ipotizziamo poi che ogni operatore riesca, in un anno, ad effettuare i controlli in 35 aziende, questo significa che ci vorrebbero 14 anni per visitarle tutte. Un’azienda, dunque, verrebbe controllata una volta ogni 14 anni. Un dato che non stupisce se si tiene conto che allo stato attuale mancano all’appello 30.000 unità di personale addetto ai controlli. “Oggi noi possiamo fare 100 mila accertamenti l’anno – precisa Paolo Pennesi, direttore INL – di cui 70 mila sono verifiche ispettive in cui si sanziona, il restante sono accertamenti tecnici, controlli propositivi, ecc. È ciò che possiamo fare con il personale che abbiamo a disposizione. Ma non penso sia auspicabile un sistema con un controllo quasi militaresco del sistema produttivo”. A lui si accoda Nicoletta Cornaggia, Conferenza delle Regioni, che spiega che l’indicatore LEA (che indica i livelli essenziali di assistenza) chiede che le ASL verifichino il 5% delle imprese attive sul territorio nazionale. “Quel 5% è basato anche sulle aziende che hanno più bisogno, dove l’intervento dell’organo di vigilanza è più necessario. Possiamo ragionare di aumentare quel 5% al 10%, ma non di arrivare al 100%, non ci si può basare solo sul controllo. Non si può immaginare che ci si fermi allo stop perché mettiamo un vigile. Esiste il dovere in chi è stato formato nell’agire a propria tutela e a tutela degli altri”. Non è dello stesso parere la segretaria nazionale CGIL, Francesca Re David che spiega che tra l’assetto militaresco ed un controllo ogni 14 anni devono poter esistere misure intermedie che garantiscano la salute di chi sta svolgendo il proprio lavoro.
E la prevenzione?
Controlli da una parte e buon senso dall’altra secondo Cornaggia. Ma non esiste buon senso senza la costruzione di un capillare piano di cultura della prevenzione. A tal proposito si è espresso Francesco Vaia, Direttore Prevenzione del Ministero della Salute. “La prevenzione non può essere un obbligo, altrimenti non funziona. La prevenzione costa fatica, perché richiede capacità di persuasione per comprenderne l’importanza e non recepirla come una semplice perdita di tempo. Forse anche per questo è sottofinanziata, ma le risorse che abbiamo dobbiamo spenderle al meglio”. Da qui la proposta: luoghi di lavoro che determinino il benessere e la salute dell’individuo e del gruppo, capaci di rispondere preventivamente a tutte le patologie del nostro tempo: obesità, disturbi del sonno, malattie cardiovascolari, depressione, ma anche lo sviluppo dei comportamenti aggressivi e violenti che, secondo Vaia, “sono molto cresciuti, soprattutto post Covid”. Un tassello certamente fondamentale è quello della formazione che, secondo gli ospiti al convegno, deve partire sin dalla tenera età. “Bisogna partire dalle elementari e fare in modo che attraverso le materie che fanno parte del piano didattico, venga trasmesso il messaggio su rischio, danno, pericolo, responsabilità individuale e versi. Ci sono sul territorio tante esperienze, ma vanno portate a sistema”, spiega Cornaggia. Formazione e corretta informazione è la formula proposta da Serena Sorrentino, Segretaria generale Fp Cgil: “La conoscenza dei rischi è il primo passo verso la prevenzione”.
Il perno dell’organizzazione del lavoro
Ciò che appare chiaro nel dibattito è che l’organizzazione del lavoro giochi un ruolo importantissimo nella partita della salute e della sicurezza dei lavoratori. Nella maggior parte dei casi, infortuni, malattie professionali e anche aggressioni sono conseguenza di un problema organizzativo, oltre che dell’assenza di una complessiva cultura della prevenzione e della sicurezza sul lavoro. “Quando il Covid ci ha costretto a prendere alcune misure di sicurezza altrimenti non si lavorava, c’è stato l’impegno di tutte le imprese. Dovrebbe essere sempre così”, commenta Re David e incalza: “Nel pubblico, per esempio, gli episodi di aggressione dipendono molto dalla qualità del servizio che offri, da situazioni di stress accumulato”.
Una nuova alleanza per la sicurezza
Il tema su cui tutti gli ospiti si trovano in accordo con la Fp Cgil, promotrice del convegno, è l’importanza e la necessità di un confronto ed un lavoro di squadra di tutti i soggetti preposti insieme alle organizzazioni sindacali per provare a dare una risposta corale efficace. “Sicuramente un errore lo abbiamo commesso – si fa avanti Tardiola -. Inail non ha investito a sufficienza sulle figure degli RLS e degli RLST. Nel 2024 noi dovremo essere i primi attori a mobilitare queste platee. Dobbiamo organizzare con INL momenti di mobilitazione e messa a disposizione di risorse”. Alza l’asticella Vaia che propone il coinvolgimento dei lavoratori: “Dobbiamo diventare alleati per una nuova prevenzione. I lavoratori non devono essere soggetto passivo ma divenire protagonisti della nostra azione”. Chiude il cerchio Sorrentino: “Il tema della salute e sicurezza non può essere per noi soltanto discussione rispetto ai fatti di cronaca. Il sindacato può dare un importante contributo, anche esperienziale, al miglioramento delle condizioni di lavoro, anche se escluso dalla contrattazione sull’organizzazione del lavoro”.
di Martina Bortolotti