Asili nido, Italia agli ultimi posti in Europa. Ma qualcosa sta cambiando

Asili nido, Italia agli ultimi posti in Europa. Ma qualcosa sta cambiando

L’esperto: “Dai governi scarsa attenzione ai divari”

I numeri

Calo della spesa (-10,3%) dei Comuni nel 2020 per gli asili nido rispetto al 2019. Maggiori costi (segnalati dal 74% dei Comuni), difficoltà delle famiglie nel pagare le rette (29%); ampissime differenze, quanto alla disponibilità dei servizi sul territorio, che penalizzano fortemente le famiglie residenti nel Mezzogiorno e nei Comuni più piccoli. Sono alcune delle principali criticità dell’offerta di asili nido e servizi integrativi per l’infanzia in Italia evidenziate dall’ultimo report dell’Istat disponibile. Dati che, se da un lato risentono degli effetti della pandemia che hanno provocato periodi di chiusura delle strutture e interruzioni della frequenza da parte di molti bambini, dall’altro certificano il presente di un’Italia che si classifica tra gli ultimi Paesi in Europa. Una difficoltà confermata dai dati aggiornati di Eurostat pubblicati appena pochi giorni fa, il 15 febbraio scorso: la percentuale di bambini sotto i tre anni che frequentano un nido (“Children aged less than 3 years in formal childcare”) in Olanda è pari al 74,2, in Danimarca al 69,1, Francia 57,1, Spagna 55,3%, Portogallo 50,4. L’Italia è al 33,4, appena sopra la Grecia (32,3). Ed alle porte c’è un nuovo target: una recente Raccomandazione della Commissione europea (7 settembre 2022) propone di portare almeno al 50% la quota di bambini sotto i tre anni che frequentano servizi educativi di qualità. Il target attuale è fissato al 33%.

I benefici degli asili nido

Favorire la frequenza del nido da parte di bambini provenienti da famiglie a basso reddito può spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale e incidere positivamente sulla partecipazione al mondo del lavoro, riducendo anche il divario di genere. In Italia, si legge nel rapporto dell’Istituto di statistica, resta ancora molta strada da fare per garantire un’equa accessibilità dei servizi dal punto di vista socio-economico. La Commissione europea, dal canto suo, evidenzia la necessità di garantire un adeguato numero di ore settimanali, anche per consentire la partecipazione dei genitori al mercato del lavoro, migliorare le condizioni di lavoro del personale impiegato nei servizi educativi, favorire l’inclusione dei bambini con disabilità e di quelli con background migratori o a rischio di povertà ed esclusione sociale. Molte famiglie, infatti, non iscrivono i figli al nido perché il servizio non è disponibile o è troppo costoso. 

Il parere dell’esperto

“Oggi gli asili nido sono un esempio dell’Italia, di fatto, già differenziata: i divari tra nord e sud sono molto forti. Attualmente i territori con il servizio peggiore sono tre regioni del Meridione: Campania, Calabria e Sicilia”, spiega a Spazio Pubblico Marco Esposito, giornalista, scrittore e autore di Zero al sud, la storia incredibile (e vera) dell’attuazione perversa del federalismo fiscale (Rubbettino). “Quando è stato pubblicato il libro, nel 2018, c’erano migliaia di Comuni in Italia ai quali era stato assegnato il fabbisogno futuro zero: come a dire,a te non serve e non servirà mai un asilo nido’”. Di fatto, una condanna. “Questo paradigma, nel giro di pochi anni, l’abbiamo cambiato: dal primo gennaio 2022 sono stati fissati per legge i livelli essenziali delle prestazioni nei servizi per l’infanzia, i cosiddetti Lep, con relativo finanziamento. L’obiettivo è garantire un livello uniforme in tutto il Paese. Entro il 2026 il percorso, ora appena all’inizio, dovrà compiersi. Aver approvato i Lep vuol dire che ora i sindaci sono obbligati a fornire questo servizio, come fosse l’anagrafe. Con i Lep lo Stato si obbliga a fornire le risorse e i Comuni devono attivare il servizio. Queste risorse, gradualmente, lo Stato le sta fornendo: certo, nel 2023 non sono sufficienti, ma lo saranno entro il 2027. Purtroppo, vedo ancora una scarsa attenzione ai divari, da parte di tutti i governi, in particolare sul Mezzogiorno”. Un contributo rilevante lo stanno fornendo le risorse provenienti dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Che, però, sono orientate sulle strutture, e non sul personale; sebbene, evidenzia l’esperto, “in via eccezionale, in quest’ambito è stata fissata una quota riservata alla gestione”. “Il vero difetto del sistema Pnrr – spiega ancora Marco Esposito – è che invece di dire ‘andiamo a fare gli asili dove sono i bambini, e poi chiediamo al Comune dove preferisce che li costruiamo’, si sono messi i Comuni a gara tra di loro. In sostanza, l’indicazione è presentate i progetti, poi chi fa prima, chi fa meglio, viene premiato’. Ma questo meccanismo non funziona perché può portare a una situazione paradossale: cosa accade a un Comune, anche popoloso, che non si è attivato? Con i soldi del Pnrr, per esempio, andremo a ristrutturare dei nidi che già c’erano e non, invece, a costruire dei nidi dove non ci sono mai stati. È un problema serio”. Ma i nodi, purtroppo, non finiscono qui. “I Comuni che hanno avuto i soldi hanno difficoltà a partire entro il 30 giugno (termine fissato dal Pnrr) con i lavori, quindi stanno chiedendo un rinvio. Ancora una volta prevale il principio ‘ce la faccio a spendere questi soldi’ rispetto a quello ‘cosa sto facendo di questi soldi’. Si sarebbe dovuto realizzare, e sarebbe stato semplice, un monitoraggio dei fabbisogni. Non è stato fatto per responsabilità del ministero dell’Istruzione del governo Draghi. E, infatti, si sono levate forti critiche sul come sono state allocate le risorse. Ora sarebbe necessario, da qui al 2027, attivare un monitoraggio di questo processo di utilizzo dei fondi per verificare cosa effettivamente sia stato fatto”. Esposito, sul tema, avanza una proposta: “Potrebbe essere interessante introdurre un meccanismo virtuoso che consenta di re-impegnare eventuali cifre non spese a favore di quei posti che non hanno alcun progetto in corso di costruzione di nidi. Naturalmente per luoghi oltre una certa soglia di numero di bambini”.

Gli ostacoli, però, non sono solo tout court legati alla gestione dei fondi: “C’è anche un percorso culturale che non è stato ancora del tutto compiuto. L’asilo è un servizio necessario per il bambino. È stato dimostrato che i piccoli che vanno prestissimo al nido hanno una scolarizzazione migliore. Il nido – ricorda – libera il tempo delle persone e fa del bene ai bambini”.

Il presente dei servizi per l’infanzia, in Italia, appare ancora difficile. Per il futuro, però, inizia finalmente ad intravedersi qualche luce.

Per approfondire: Statistics | Eurostat (europa.eu) 

 

di Valerio Ceva Grimaldi