“Praticare il pensiero di D’Antona per rappresentare e tutelare il mondo del lavoro”

Intervista ad Andrea Ranieri sul giuslavorista ucciso dalle Nuove Brigate Rosse il 20 maggio del 1999: “Ora come allora serve costruire un nuovo orizzonte dei diritti che parli a tutte le forme di lavoro”

Il 20 maggio del 1999 il professore Massimo D’Antona, studioso di mercato del lavoro e docente di diritto del lavoro, veniva assassinato all’età di cinquantuno anni dalle Nuove Brigate Rosse.
Poco dopo le 8 di mattina a Roma nei pressi della sua abitazione, tra via Salaria e via Adda, venne freddato da nove colpi esplosi per mano delle Nuove Br.
D’Antona, colpito in una data simbolica, quella dell’approvazione della legge sullo Statuto dei diritti dei lavoratori, aveva dedicato tutta la sua attività e la sua elaborazione alla causa del lavoro e del suo valore sociale, in particolare alla norme relative alla pubblica amministrazione e alla rappresentanza sindacale.
Vogliamo ricordarlo in queste pagine attraverso le parole di un ex dirigente della Cgil, nonché parlamentare della Repubblica, Andrea Ranieri, vicino da sempre al pensiero e alle elaborazioni di Massimo D’Antona.

“La figura del professore D’Antona, la sua elaborazione, non va semplicemente celebrata ma va assunta e praticata come punto di riferimento per un sindacato che vuole e deve cambiare, perché il mondo del lavoro è cambiato e va rappresentato tutto”. A tratteggiare la figura del professore Massimo D’Antona – lo studioso di mercato del lavoro e docente di diritto del lavoro, assassinato dalle nuove Brigate Rosse il 20 maggio del 1999 – è l’ex dirigente della Cgil, Andrea Ranieri, che con noi ricorda: “Ho lavorato molto con Trentin all’ufficio programma della Cgil e alcune riflessioni che si facevano con Bruno, sulla necessità di un nuovo statuto dei diritti, trovavano riscontro nella elaborazione giuridica di D’Antona. L’interesse prioritario di quest’ultimo fu quello di lavorare per riunificare il mondo del lavoro, di reagire alla sua frammentazione non guardando al passato ma cercando di costruire un’orizzonte di diritti in grado di comprendere tutte le forme di lavoro”.
Andrea, dal tuo punto di vista, quali sono gli elementi fondanti della elaborazione del professore D’Antona?
D’Antona contrastò l’idea della completa delegificazione del rapporto di lavoro, affidando tutto alla contrattazione fra le parti. Al contrario si impegnò a costruire un nuovo orizzonte di diritti che tutelasse tutte le persone che lavorano e base per nuove modalità di contrattazione. Secondo D’Antona il limite del diritto del lavoro, quello che rendeva difficile costruire nuovi diritti per le nuove forme di lavoro, era nell’idea di vedere queste come una deviazione dal concetto fondamentale, ovvero quello della subordinazione. Rientrare nell’orizzonte dei diritti voleva dire avvicinarsi al concetto di subordinazione ma per D’Antona quest’ultimo andava molto allargato, tenendo dentro le tante forme di lavoro nuovo che non erano più riconducibili all’interno di questo schema. Pensava ad un diritto del lavoro in cui ci fosse un forte zoccolo di diritti comune a tutti, in grado di affrontare quelle fratture che si erano determinate nel mondo del lavoro. Perché la Costituzione, diceva D’Antona, parla del lavoro in senso generale ed è per questo che deve essere garantito da un comune orizzonte di diritti.
Quali furono le reazioni a questa elaborazione di D’Antona?
A questa elaborazione di D’Antona per lungo tempo né il sindacato né la politica risposero. È di questi ultimi anni la proposta della Cgil di un nuovo statuto dei diritti che tiene dentro tutte le forme di lavoro possibili. Abbiamo avuto paura per un lungo tempo di affrontare il problema di un nuovo statuto, anche legittimamente, perché eravamo in un clima politico e culturale che faceva temere che mettere mano allo statuto dei diritti avrebbe determinato conseguenze solo in peggio. Certo questa timidezza ha fatto sì che il sindacato si sia trovato impreparato ad accogliere e a dare un orizzonte alle forme nuove in cui il lavoro si esercita. Oggi la necessità di un nuovo statuto dei diritti è diventata fondamentale per tutti noi, così come una riforma generale degli ammortizzatori sociali che tenga dentro tutti. Ed è stato Massimo, precursore, a indicarci questo orizzonte, che ritrovo nella proposta della Cgil. Insieme alla necessità di una legge sulla rappresentanza, che determinasse le condizioni per la regolarità dei contratti, contrastando la frammentazione.
Rimangono quindi valide le sue idee e i suoi studi?
Massimo era un riformista vero, reale e concreto. Per queste ragioni entrò nel mirino delle Brigate Rosse, che colpivano, penso ad esempio a Guido Rossa, chi si batteva per rendere qui e ora migliore la vita delle persone che lavorano. La sua idea che mette al centro il lavoratore, in carne e ossa, le sue aspirazioni, la sua voglia di realizzarsi, contro le astrazioni, sono la via da perseguire. Ed è per questo che non dobbiamo semplicemente celebrare ma praticare il suo pensiero, mirando alla costruzione di un nuovo orizzonte dei diritti che parli a tutte le forme di lavoro.