ActionAid: “Ai giovani è sottratto il diritto a un lavoro pieno e dignitoso”

ActionAid: “I giovani hanno diritto a un lavoro pieno e dignitoso”

Dalla “Scuola del merito” al bisogno di garantire pari opportunità, abbiamo parlato con Katia Scannavini, vicesegretaria generale di ActionAid, del futuro che possiamo offrire ai giovani che rappresentano una essenziale risorsa per lo sviluppo del Paese, in occasione di un convegno sul tema promosso a Roma da Cgil ed ActionAid.

Quali sono gli ostacoli che si frappongono tra un giovane e la possibilità di costruire il proprio futuro?

Gli ostacoli sono veramente tanti nel nostro Paese. Non ci sono politiche adeguate, il mercato del lavoro è fragile e non sa rispondere alle esigenze dei giovani. Ma l’ostacolo più grande è il mancato riconoscimento dei diritti soprattutto legati alla possibilità di entrare nel mercato del lavoro con dignità piena e completa.

Come modificare un certo tipo di narrazione secondo cui ragazze e ragazzi sono semplicemente incapaci di lasciare il nucleo familiare e rendersi indipendenti?

Cambiare il senso comune è sempre molto complesso. Si lavora per stereotipi perché semplifica la realtà. Invece bisognerebbe analizzare in modo preciso chi sono questi giovani e dare da una parte una risposta ad personam, perché siamo degli individui e dobbiamo essere presi in carico in ciascuna condizione, dall’altra delle risposte strutturali, precise, puntuali che siano in grado di essere aderenti ai bisogni reali.

Dopo la denominazione del “Ministero dell’Istruzione e del merito” si è molto dibattuto delle reali capacità della scuola di premiare il merito e, al contempo, garantire ai ragazzi pari opportunità, indipendentemente dalle condizioni sociali ed economiche. Lei cosa ne pensa?

Io continuo a pensare che la scuola abbia un ruolo centrale in tutte le società. È un agente di socializzazione fondamentale. È soprattutto quel luogo che deve portare diritti e dare a tutti l’opportunità di sviluppare le proprie potenzialità e la propria persona, non solo in termini di competenze ma di conoscenze. Creare cittadini consapevoli. Il concetto di merito è estremamente capitalista e ha tante ombre all’interno della sua declinazione. Io invece credo che sia fondamentale, al di là della questione del merito, dare opportunità a tutti, a livello universalistico.

I meno istruiti si scoraggiano, molti laureati vanno all’estero in cerca di una prospettiva migliore. In questo modo il Paese perde due volte. Come si può invertire questa tendenza? Quali nuovi strumenti possono essere messi concretamente in campo per la formazione e per il lavoro?

Noi siamo un Paese che ha sviluppato delle teorie pedagogiche importantissime. Ricordiamoci, per esempio, il metodo Montessori, che dà la possibilità di non passare necessariamente per dei percorsi standardizzati e di far emergere il potenziale di ognuno. Ma i docenti non possono fare tutto da soli. In merito a quanti, invece, riescono a fare il loro percorso e poi si trovano a dover lasciare il nostro Paese, beh… questo la dice lunga. Noi parliamo spesso in Italia del fenomeno migratorio. Ma parliamo di quella parte del fenomeno che ci vede accogliere le persone provenienti da altre parti del mondo. Ci sono invece anche tantissimi emigrati italiani che vanno all’estero. In questo modo stiamo togliendo delle possibilità al nostro Paese, perché l’Italia ha bisogno dell’innovazione che portano i giovani. Come vogliamo intraprendere una transizione ecologica e digitale se le menti più creative, vivaci e aggiornate non sono più nel nostro Paese?

E invece da un punto di vista sociale come impedire l’isolamento dei giovani?

Bisogna lavorare nei territori. Si pensa spesso ai giovani che vivono nelle periferie, ma pensiamo anche alle aree interne del Paese dalle quali è difficile muoversi e avere l’opportunità di accedere ad una connessione. Ebbene, bisogna ripartire dai territori, ridargli centralità e opportunità. I territori stanno morendo. I giovani invece sarebbero un volano importante per riattivarli e per dare una spinta all’innovazione del Paese.

L’autonomia differenziata è un progetto che rischia di accentuare le disuguaglianze territoriali?

Se non applicata attraverso tutta una serie di paletti e di attenzioni è rischiosa. Il pericolo è di porre tutti al nastro di partenza in posizioni diverse. Quindi se non lavoriamo su questo elemento, sul dare a tutti pari opportunità, fare declinazioni di autonomia lascia il tempo che trova.

 

di Martina Bortolotti

 

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