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Crepet: “La mancanza di fiducia nel prossimo ci ha reso tutti più deboli”

Crisi mondiali, social network e coesione sociale: in un’intervista a Spazio Pubblico, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet si esprime in relazione ai grandi cambiamenti che stiamo vivendo, con particolare attenzione alla situazione dei più giovani.

Prima la crisi finanziaria, l’allarme terrorismo in tutta Europa e la crisi climatica. Poi negli ultimi due anni la pandemia, la guerra Russia-Ucraina, la crisi energetica ed economica. È da più di dieci anni che viviamo in continuo allarme e che la parola “crisi” fa parte della nostra quotidianità. Questo che effetto ha sulla società e sul benessere psicologico delle persone? 

La storia è fatta di momenti di crisi più o meno gravi, più o meno lunghi. Nello scorso secolo abbiamo affrontato la crisi economica del ’29, le due guerre mondiali, vari periodi di tensione e recessione. Non è giusto mettere tutto sullo stesso piano, ma con questo voglio dire che la vita è complicata ed è fatta di salite e di discese. Recentemente ne abbiamo appena affrontata una e sembra che ne stiamo uscendo. Ora siamo chiamati a riflettere e a trarne le giuste conclusioni: cosa ci ha insegnato e quali sono invece le problematiche da affrontare. Dobbiamo continuare ad andare avanti, non vedo un’alternativa a tutto ciò.

L’OMS ha affermato che più del 10% degli adolescenti presenta malattie come depressione, ansia e disturbi comportamentali. Come se lo spiega? Può essere legato agli eventi che abbiamo menzionato? 

Potevamo aspettarcelo, abbiamo vissuto tante disgrazie. Credo sia una cosa abbastanza logica dopo il duro periodo trascorso e le ripercussioni psicologiche purtroppo sono inevitabili. 

Il sociologo Derrick De Kerkhove in una recente intervista ci ha detto che secondo lui i social network non hanno aiutato la coesione sociale. Lei è d’accordo? 

Lo ammettono gli stessi fondatori delle piattaforme social, poi se a sostenerlo è anche un sociologo come De Kerkhove la tesi acquisisce ancor più valore. I social network sono semplicemente un business come tanti altri e bisogna essere ingenui per pensare che fossero nati per l’umanità e per rafforzare le reti personali. Oggi, infatti, viviamo in una società in cui la coesione è molto più frammentata rispetto a 15 anni fa; attraverso i social è molto più facile che si veicoli l’odio piuttosto che le poesie di Leopardi. La situazione poi non potrà che peggiorare con il Metaverso che non farà altro che isolarci ulteriormente. Staremo seduti su una poltrona con un visore attaccato alla testa: come si può pensare che questa sia una nuova forma di socializzazione? 

Le nuove generazioni, i nativi digitali, in cosa sono diverse dalle precedenti? Hanno perso o guadagnato qualcosa? 

Hanno guadagnato la possibilità di disporre di un motore di ricerca che permette di reperire informazioni su qualsiasi cosa senza la necessità di chissà quale biblioteca. Mentre invece i social network secondo me gli hanno fatto perdere molto. 

Ci siamo abituati alla velocità del presente, a vivere di cose precarie, di natura transitoria. Questo può aver avuto ripercussioni sulle relazioni sociali e sentimentali tra le persone? 

Per riassumere quello che penso si può dire che secondo me è venuta meno la fiducia. Questo naturalmente ha delle ricadute sulle nostre relazioni sociali e sentimentali. Se uno non può credere più nell’altro perché può pensare che sia un fake è chiaro che siamo tutti più deboli.  

Lei ha affrontato spesso il tema dell’amore. Pensa sia cambiato il modo di viverlo o di intenderlo? 

Questo è poco ma è sicuro; l’amore non può essere Instagram. L’amore è qualcosa che si prova attraverso le nostre capacità sensitive. Se queste non si usano più e le persone da conoscere si scelgono attraverso una selezione visiva che passa dallo schermo di un telefono, allora è chiaro che si ridimensiona un po’ tutto. Questo è troppo poco per creare relazioni solide, non è sufficiente. Ma a me non interessa, semplicemente ho vissuto in un altro modo. 

Oggi i giovani sembrano sempre più disillusi e lontani dalla vita politica del Paese. Quali sono le cause e come si può riaccendere il loro interesse?

Non si può dire con certezza che questa sia una verità assoluta. Mi capita spesso di frequentare le periferie del Paese e di incontrare sindaci e sindache molto giovani, intorno ai 30 anni. Credo che l’interesse politico sia ancora vivo tra i giovani, poi le modalità con il quale questo viene espresso possono essere molto criticabili. Io ad esempio non credo che si possa pensare di risolvere il problema dell’emergenza climatica bloccando il Raccordo Anulare di Roma. Ancora meno penso che si possa attirare l’attenzione sulla tematica gettando una zuppa sul quadro di Van Gogh. Questa è una reazione giovanile demente, il dissenso va comunicato diversamente. 

 

Di Matteo Mercuri