“Sanità, se non la curi non ti cura”. È questo lo slogan con cui i sindacati (Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl, Fials e NurSind) scendono in piazza il 29 ottobre per manifestare contro i nuovi tagli alla sanità, previsti a partire dal 2025, come illustrato nell’ultimo Documento di Programmazione Economico-Finanziaria. Il nostro Servizio Sanitario Nazionale, dopo anni di disinvestimenti (37 miliardi in un decennio) e lo scoppio di una pandemia, ha mostrato tutte le sue fragilità. “L’unico argine a contenere il disastro è stato il lavoro e il sacrificio degli operatori sanitari”, spiegano i sindacati, che danno appuntamento domani a Roma, in piazza del Popolo, alle ore 9.30.
Oggi, di fatto, non tutti hanno l’opportunità di accedere alle cure, al contrario di quanto sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Sono sempre di più, peraltro, i cittadini che ricorrono al privato. Le famiglie spendono oltre 40 miliardi all’anno per curarsi. Chi non può, rinuncia. Dall’altra parte ci sono gli operatori sanitari che sono sempre più stremati, disillusi. Turni massacranti, salari bassi e condizioni di lavoro critiche stanno portando ad una fuga dei professionisti sanitari. Si stima che dal 2009 il SSN abbia perso circa 35 mila unità. E anche l’offerta di cura è stata ridotta, passando da circa 5 posti letto ogni 1000 abitanti ad appena 3. Una percentuale che ci colloca dopo Paesi come la Serbia, la Slovacchia, la Slovenia, la Bulgaria e la Grecia. “È forte il rischio di una profonda mutazione della natura del Servizio Sanitario Nazionale verso la privatizzazione – spiegano i sindacati -. Quella del Pnrr è un’occasione straordinaria che non può e non deve essere sprecata”.
Da qui l’iniziativa di scendere in piazza, con numerose proposte e richieste. Tra le principali vi sono quella di prevedere maggiori risorse per il Fondo Sanitario Nazionale, di cancellare il limite di spesa per nuove assunzioni, a partire dai tanti precari inseriti nel sistema prima e durante la pandemia, l’annullamento del numero chiuso nelle università per almeno cinque anni, un blocco all’esternalizzazione dei servizi e, infine, un processo di integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali, con l’obiettivo di prevenire forme di disagio e fragilità. Rafforzare i servizi sociali vuol dire ridurre il numero di persone che avrà bisogno di ricorrere alle cure sanitarie, vuol dire decongestionare gli ospedali e garantire un servizio di qualità che permetta ad ogni cittadino di rivendicare il proprio sacrosanto, e costituzionalmente garantito, diritto alla salute.
di Martina Bortolotti