Monica Genovese aveva 26 anni e viveva in Via D’Amelio, a Palermo, quando, quel lontano 19 luglio di 30 anni fa, una bomba esplose di fronte al civico n.21 uccidendo il magistrato Paolo Borsellino e cinque dei sei uomini della sua scorta. Un’esperienza che non si può dimenticare e che Monica ha deciso di condividere con noi, con una lettera.
“Il 19 luglio c’ero e ci sono ancora. A dire il vero, c’era tutta la mia famiglia quella domenica di 30 anni fa, eravamo appena rientrati dal mare. Ricordo ancora i colori di quella giornata e quel senso di spensieratezza e leggerezza tipica delle estati passate, di quando si era giovani.
Appena varcata la soglia della mia stanza, un terribile boato, accompagnato da fumo nero e da una spaventosa onda d’urto, entrò nell’appartamento e per sempre nelle nostre anime. Il palazzo tremò, i muri mediani della casa vennero giù e con loro tutte le nostre certezze e inutili vanità. In un attimo la casa si riempì di fumo, polvere e macerie. Tutto era stato spazzato via. I miei genitori riemersero dalle macerie della loro camera da letto, affacciata su via D’Amelio, 3° piano. Corremmo per il corridoio, la porta d’ingresso non si apriva. Fu tra le sensazioni più brutte e, ancora oggi, più pesanti da dimenticare. Per fortuna arrivarono i soccorsi che ci condussero fuori, facendoci passare accanto ai poveri corpi trucidati. Intanto, gli elicotteri cominciavano a sorvolare quel cielo di luglio che da terso era diventato plumbeo. E un forte odore, di vita spezzata, cominciava a diffondersi. Una folla di curiosi si riversò nella strada mentre i Vigili del Fuoco e le Forze dell’Ordine provavano a fare da cordolo tra i poveri corpi straziati e il resto, tra la vita e la morte.
Quelli successivi furono per la mia famiglia mesi complicati: senza casa, con due macchine bruciate. Ma furono anche mesi di solidarietà e sostegno in cui unimmo tutte le nostre forze per risalire, per riprendere la vita. Perché noi eravamo rimasti vivi in uno scenario di guerra. Dopo sei mesi rientrammo a casa, con grande gioia ma soprattutto con qualche consapevolezza in più rispetto al valore della vita e dell’inutilità e futilità dei beni materiali. Nel balcone di casa mia fu ritrovato il distintivo di Emanuela Loi. Di fronte a tutto questo, ogni nostro disagio era niente.
I giorni che seguirono furono giorni di forte impegno civile: ricordo il movimento dei lenzuoli, l’andare in giro nel quartiere per contribuire a far nascere quella coscienza che fino a quel momento era rimasta sopita, narcotizzata, distratta. Grazie allo straordinario impegno e lavoro di Rita Borsellino, nostra grande amica, si è improvvisamente risvegliata e moltiplicata, coinvolgendo tutti ma soprattutto i giovani, i bambini, coloro che sono il nostro futuro ma soprattutto le gambe sulle quali far camminare le idee di Paolo e di Giovanni e di tutti gli agenti della scorta che sono stati al loro fianco e che con loro hanno perso la vita.
Via D’Amelio è un luogo della memoria che richiede rispetto, giustizia e verità. Una memoria che va tramandata, conservata e nello stesso tempo nutrita attraverso progetti e iniziative che mettano al centro la legalità, la lotta alla mafia e il valore della giustizia . Quella giustizia che la strage di via D’Amelio chiede in un quadro di colossale depistaggio. Per questo, Via D’Amelio rimarrà per sempre la mia casa e la casa di tutti coloro che ogni giorno, a vario titolo, s’impegnano per l’affermazione della legalità e della giustizia.
Grazie a Paolo
ad Agostino
a Claudio
a Emanuela
a Vincenzo
a Walter.
Da tutti noi”.
Monica