Migranti: “dobbiamo batterci per i diritti e contro le ingiustizie”

Sabrina Del Pozzo è segretaria confederale della Cgil Molise e si occupa di terzo settore per la Fp. Alla vigilia dello sciopero di domani di lavoratrici e lavoratori del settore dell’asilo, promosso dalla Funzione pubblica Cgil, spiega perché è necessario investire nell’inclusione e opporsi alla crescente privatizzazione di un intero comparto. Dove chi ci lavora è sempre più penalizzato. E sui Cpr dice: “Sono da chiudere”.

Qual è la percezione oggi in Italia del fenomeno migratorio?

Io direi ‘qual è la percezione che consapevolmente si è voluta costruire’ di un fenomeno non di certo semplice e che merita invece un’analisi più attenta e giusta. I fattori che spingono le persone a lasciare il proprio paese sono diversi: politici, sociali, economici, ambientali che sono sempre più frequenti fra l’altro. Ci sono le migrazioni forzate nelle quali la persona è costretta a lasciare il proprio paese ma ci possono essere anche migrazioni volontarie dove si decide di spostarsi per scelta. Non è tutto riconducibile ad unico fattore. Si costruisce e si contribuisce costantemente ad una percezione che è molto diversa dalla realtà. Oggi su tutto vince il lasciar morire, la necessità di dividere le persone in buoni e cattivi, in vite che meritano di essere tutelate e vite considerate inutili. Il racconto è sempre lo stesso: dobbiamo proteggere i nostri confini da un’invasione, che tale non è, disposti a condannare le organizzazioni umanitarie, a mettere il controllo e la gestione nelle mani di criminali, all’esternalizzazione costante delle frontiere, a smantellare il sistema di accoglienza. Quel sistema costituito dalla rete degli enti locali oggi denominato SAI, Sistema Accoglienza Integrazione, che seppur con mille difficoltà e limiti ha sempre provato a mettere al centro la dignità e l’inclusione. Si continua ad investire in centri di detenzione amministrativa, vere e proprie galere che annullano le persone. Il lavoro di cura diventa soltanto un lavoro di controllo con conseguenze anche sui lavoratori e le lavoratrici che vivono con bassi salari, poveri e precari, e questa è soltanto una parte sintetica della realtà e delle scelte che il Governo sta portando avanti.

Di recente hai visitato il Cpr, Centro di Permanenza per i Rimpatri, di Palazzo San Gervasio (Pz): che cosa hai visto?

Sono state effettuate visite negli 8 Centri di Permanenza per il Rimpatrio attivi in Italia, sopralluoghi ai quali hanno preso parte associazioni del TAI – Tavolo Asilo e Immigrazione di cui fa parte anche la CGIL – insieme a parlamentari e consiglieri di alcuni partiti di opposizione. Io riesco ad entrare nel Cpr di Palazzo San Gervasio in provincia di Potenza, una struttura che può ospitare fino a 96 persone e tutti uomini. Non è semplice l’accesso, riesco ad entrare fondamentalmente come segretaria di un parlamentare. Sono strutture molto lontane dai centri abitati, tenute ben lontane dall’attenzione pubblica. La prima cosa che sento sono delle urla e alla nostra richiesta di spiegazioni ci viene detto che quella è la modalità ‘normale’ di comunicare. Ovviamente resto interdetta. Ho visto persone rinchiuse dietro delle gabbie dove non esiste nulla, soltanto cemento e zero privacy e la presenza costante delle forze dell’ordine e dei militari. L’informazione e la tutela legale sono insufficienti, ho incontrato persone confuse e poco lucide, scarsa presa in carico per problemi di salute e non parliamo dell’attenzione rispetto la salute mentale. Soltanto la possibilità di un qualche tipo di attività ricreativa, poco chiara, e che si svolge in una cella più grande rispetto alle altre dalla quale è difficile anche vedere la luce. Ho avuto modo di parlare con loro seppur a distanza e controllata, mi chiedono di raccontare all’esterno cosa sta accadendo nel silenzio di molti.

Che sensazioni hai provato?

Oltre a sentirmi mancare la terra sotto i piedi, ho provato vergogna. Dobbiamo lavorare per costruire un forte consenso sulla chiusura di questi posti che rinchiudono persone che non stanno scontando una pena ma che sono vittime soltanto di un’irregolarità amministrativa, una misura di restrizione della libertà per i migranti sottoposti ad un ordine di espulsione che poi di fatto non avviene nella maggior parte dei casi. Sono certa che chiunque alla vista di un posto simile non possa che prendere le distanze da scelte politiche di questo tipo. Sono descritti come modelli ma allora perché non permettiamo l’ingresso alla società civile? Accogliere non può essere un lavoro neutrale ma un credere per i diritti e un contribuire ad un cambiamento sociale che può assumere carattere diverso a seconda delle scelte che facciamo individualmente e collettivamente. Dobbiamo raccontare e denunciare e far comprendere che queste non sono strutture riformabili ma da chiudere.

Come declinare il termine accoglienza nel 2024?

Dobbiamo batterci per i diritti e per la dignità di tutte e tutti e per un’accoglienza di qualità e trasparente. Troppo spesso oggi si lascia la gestione nelle mani di cooperative e multinazionali che hanno obiettivi di tutt’altro genere. Dobbiamo assumerci la responsabilità e credo anche con maggior coraggio da parte di tutti e tutte nel raccontare e nel fare emergere le contraddizioni e le ingiustizie che ci sono nelle scelte che oggi vengono prese.

In questo settore, come purtroppo in altri, assistiamo ad una progressiva privatizzazione della gestione che compromette il principio cardine della legittimità democratica…

Un esempio di ciò possono essere in assoluto i Cpr nelle mani dei privati e dove si consente di fare profitto sulla libertà delle persone. Sono strutture che nascono nel 1998 dalla legge numero 40, la legge Turco-Napolitano, che prima prendevano il nome di Centri di Permanenza Temporanea e di Assistenza (CPTA) per poi cambiare denominazione più volte ma di fatto mantenendo integra la sostanza, anzi, attualmente ne sottolineo un peggioramento. Oggi negli appalti vengono proposti importanti ribassi e continue proroghe, le realtà del terzo settore che si sono sempre occupate di diritti umani e di accoglienza non partecipano più alle gare perché di fatto, nella maggior parte dei casi, non si riescono a garantire servizi adeguati e direi minimi. Devi scegliere se fare tagli su tutti gli attori coinvolti oppure se tirarti indietro. Il Patto sulla migrazione e l’Asilo, una serie di riforme legislative che non dovevano assolutamente essere approvate, non permetteranno più alle persone che chiederanno asilo in Europa un esame attento della domanda di protezione internazionale. Il Patto prevede procedure veloci dove centrale non sarà la storia individuale e complessa per sua stessa natura delle persone, con una inevitabile perdita di garanzie e di tutele. La necessità di riformare Dublino di fatto non viene affrontata e il problema del primo paese di arrivo è ancora presente. La procedura di ricollocazione dei migranti è stabilita attraverso un finto meccanismo di solidarietà. Si potrà scegliere e soltanto durante quelle fasi che verranno riconosciute come emergenziali il ricollocamento sul proprio territorio delle persone oppure si potrà scegliere di pagare con un contributo economico al fine di supportare il paese che in quel momento verrà considerato sotto pressione. Chi andrà a definire l’inizio e la fine di una fase emergenziale? Stiamo portando avanti l’accordo con l’Albania, con il DM del 7 maggio 2024 abbiamo allargato l’elenco dei Paesi considerati sicuri e che di sicuro hanno ben poco. Possiamo davvero parlare di vera solidarietà? Così come del Piano Mattei, quel piano ‘strategico’ per la costruzione di un accordo tra Italia e Stati Africani, del quale non intravedo nulla se non qualcosa di sterile per non dire inesistente. Ennesime propagande politiche e fumo negli occhi.

Domani i lavoratori e le lavoratrici del settore dell’asilo (Commissioni Territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale e Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo) saranno in presidio a Roma per una mobilitazione, promossa dalla Funzione Pubblica Cgil.

E’ una battaglia che prosegue ormai da mesi e che merita supporto e sostegno. Le Commissioni territoriali hanno il compito di valutare e decidere in merito alla domanda di protezione e questo non può prescindere dalla raccolta della storia della persona. Sono anche loro che oggi devono svolgere il proprio lavoro senza supporto, senza una gratificazione economica adeguata, in tempi stretti e sotto pressione dove soltanto la quantità è centrale a discapito della qualità, del rispetto e di vere politiche attive.